Castelneuv Brisò




Barbarossa o Barbablù: chi è il colpevole?


La storia si sa è disseminata di incertezze e imprecisioni, leggende e storie che si tramandano di generazione in generazione. Anche qui, in un piccolo concentrico sulle colline del Monferrato non ci siamo fatti mancare il nostro bel falso storico.

Castelnuovo Calcea è noto con l’appellativo Castelneuv Brisò, che in piemontese significa Castelnuovo Bruciato. Anche un detto locale ne certifica la diffusione: “Vinc e Vòi e Mumbersè a sun tre tere da brisè. Castelneuv è già brisò…”. La nomea ha avuto seguito anche in più alte sfere visto che è stata utilizzata in alcune carte geografiche del Seicento e del Settecento riportando la dicitura Castel Novo Brugiato o Abbruggiato.

Inoltre, in un biglietto del primo febbraio 1704 un ufficiale ingiunge da None (ovvero Annone): “Vien ordinato alla Comunità di Castel Novo Brisat d’inviare i Sindaci di d.a Comunità per parlare con il Comandante di d.o luogo di None…”.

Bene, su questo punto tradizione orale e documentazione storica convergono. Tuttavia, la vulgata più frequente è quella secondo la quale il nome “Bruciato” deriverebbe dalla distruzione del paese che fece Federico Barbarossa nel 1154 dopo aver punito la città ribelle di Asti. In realtà non esistono prove certe che a distruggere il primo insediamento sorto nel comune di Castelnuovo Calcea fu proprio l’imperatore Barbarossa. Inoltre, sappiamo che l’incendio per il quale il paese fu ribattezzato non avvenne nel Medioevo, bensì durante la guerra dei Trent’anni (nel XVII secolo).

Siamo negli anni Trenta del Seicento. Da poco era passata l'onda funesta della peste, conseguenza più o meno diretta della miseria portata dalla guerra e dal dilagare degli eserciti. La famosa Guerra dei Trent’anni per la successione del Ducato di Mantova e Monferrato, iniziata nel 1618 sarebbe continuata fino al 1648. Il nostro paese, appartenente al Ducato di Milano di dominazione spagnola, si trovava come un fragile vaso d'argilla tra potenti vicini di ferro: era una delle sei terre imperiali incuneate tra il Monferrato e l'astigiano dominato dai Savoia (alleati dei francesi nella Guerra). Probabilmente solo una piccola guarnigione spagnola difendeva il castello.

Il 3 ottobre 1635 il capitano Stefano Re, alla testa di un manipolo di soldati del Duca Vittorio Emanuele I di Savoia, si impadronì del nostro paese con un'azione fulminea. Tuttavia, poco tempo dopo gli abitanti, con l'aiuto degli spagnoli, si ribellarono alle vessazioni fiscali dei piemontesi. A quel punto il capitano Re sottopose il castello e il paese al saccheggio, distruggendo mura e torri e appiccando, poi, il fuoco. Che i castelnovesi si siano ribellati ad imposizioni fiscali è abbastanza comprensibile se si tiene presente che essi da secoli erano abituati ad autogestirsi con un'amministrazione oculata, dovendo solo versare le contribuzioni in tempo di guerra. Non potevano certo digerire una tassazione centralizzata come quella piemontese.

Sulla figura del capitano Re ci sono notizie discordanti. C'è chi lo chiama Stefano e chi Giovanni. Il Veroli, scrivendo dei vari castelli della Val Tiglione da lui assaliti o molestati nel corso del 1635 alla testa di 200 uomini, lo chiama “famigerato capo di banditi”. Questa espressione potrebbe indicare un feroce avventuriero, ma anche uno che è stato bandito, cioè “messo al bando”, cacciato dalla sua patria. Il cognome, poi, ricorda le diverse trascrizioni del cognome Reggio, molto frequente a Castelnuovo, scritto talvolta Rex, cioè Re. Si può pensare che questo condottiero fosse nato nelle terre imperiali, poi messo al bando e passato ai Savoia, ponesse nelle sue azioni la rabbia di una rivincita o vendetta personale.

Questa è la vera storia dietro il soprannome. Certificato che non è colpa di Barbarossa se Castelnuovo si dice “Bruciato”, resta da dirimere se sia sua la responsabilità della distruzione del primo insediamento. Per quanto ne sappiamo può essere stato anche Barbablù.


Bibliografia:

  1. Giornalino parrocchiale, Don Michele Alessio, 1995

  2. Castelnuovo Calcea, quasi mille anni di storia; Natale Ferro, Editrice Minigraf, 1992